Dagli esordi della moderna chirurgia refrattiva due strategie si sono opposte negli anni per aggiudicarsi il primato in termini di affidabilità, predittibilità e sicurezza: la tecnica di superficie (PRK, epi-LASIK, LASEK) e la tecnica lamellare o intrastromale (LASIK). Ancora oggi la superiorità di una rispetto all’altra rappresenta di fatto motivo di lunghi dibattiti. In generale si può affermare che, come ormai numerosi studi hanno confermato, non esiste differenza significativa a lungo termine per quanto concerne risultati refrattivi raggiunti, sicurezza ed efficacia. Ma se da un lato, ad oggi, la LASIK viene considerata a livello mondiale come tecnica elettiva nei trattamenti refrattivi per il rapido recupero visivo e per la precisione aumentata grazie all’arrivo dei laser a femtosecondi, dall’altro sembra che la tecnica di superficie (in particolare la PRK) stia raccogliendo nuovamente largo consenso in virtù della maggior sicurezza negli anni dimostrata in termini di ectasia indotta dal trattamento laser. La cheratectomia refrattiva offre infatti il vantaggio di essere un metodica relativamente semplice nella sua esecuzione, consente trattamenti miopici di valore medio-elevato e soprattutto è legata appunto ad una bassissima incidenza di ectasia postoperatoria con follow-up a lungo termine. D’altro canto, come qualsiasi intervento chirurgico, essa può presentare comunque alcuni svantaggi. La scelta di una tecnica intrastromale pare ovvia in virtù di un ridotto discomfort oculare, rischio di haze pressoché assente, ridotto numero di giorni di astensione dal lavoro per recupero visivo più immediato, maggiore stabilità nei trattamenti refrattivi ipermetropici. L’avvento del laser a femtosecondi inoltre ha positivamente modificato l’incidenza di alcune importanti complicanze. Numerosi lavori si sono difatti susseguiti in questi ultimi anni per esaltare la sicurezza, l’affidabilità, la precisione di taglio di questa tecnologia. Perché dunque non sfruttare le potenzialità del laser a femtosecondi per creare una tecnica “ibrida” che consente di avere i vantaggi di entrambe le metodiche e al tempo stesso ridurne i rischi? Nasce così, come idea di Stephen G. Slade, la SBK ovvero la Sub-Bowman’s Keratomileusis. Per definizione essa prevede la creazione di un flap lineare e omogeneo con spessore inferiore a 100µ.